Exsurgat Deus, et dissipentur – Salmo LXVII –

Dall’opera “CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES” dell’Abate J.-M. PÉRONNE, (3 voll., Parigi – 1878), anticipiamo, in omaggio al titolo del nostro blog, il commento al salmo LXVII, riservandoci, a tempo debito, e se piacerà al Signore, di proporre l’intera opera che, benché in un certo qual modo monumentale ed impegnativa in tutti i sensi, rappresenta una miniera ove è racchiusa parte della sapienza cattolica di sempre, comune a tanti autori del passato ormai dimenticati, o peggio, volutamente occultati. Chiedendo in anticipo scusa per gli eventuali immancabili errori di traduzione e trascrizione, che grati invitiamo naturalmente a segnalare, cercheremo a modo nostro, nella limitatezza delle nostre capacità e dei nostri mezzi, nel nostro piccolo e con estrema umiltà, di rendere omaggio a questa immensa preziosa sapienza e ad uno dei tanti straordinari autori che hanno dato lustro sia alla letteratura di tutti tempi in generale, che a quella cattolica in particolare.

 

[Il testo in latino è quello della Volgata-Clementina, la traduzione italiana è quella approvata del Cardinal A. Martini, Arcivescovo di Firenze. Dopo le brevi note iniziali, c’è il sommario analitico, alla fine del quale è possibile passare alle spiegazioni e considerazioni, versetto per versetto. Spero, come già noi abbiamo di persona costatato, che possiate godere di questa gioia dello spirito, a gloria e lode del S. N. Gesù Cristo Salvatore]

Davide-re

SALMO LXVII

In finem, Psalmus Cantici ipsi David (1)

1. Exsurgat Deus, et dissipentur inimici ejus; et fugiant qui oderunt eum a facie ejus.

2. Sicut deficit fumus, deficiant; sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei.

3. Et justi epulentur; et exsultent in conspectu Dei, et delectentur in laetitia.

4.Cantate Deo, psalmum dicite nomini ejus; iter facite ei qui ascendit super occasum. Dominus nomen illi (2); exsultate in conspectu ejus. Turbabuntur a facie ejus,

5.patris orphanorum, et judicis viduarum; Deus in loco sancto suo.

6.Deus qui inhabitare facit unius moris in domo; qui educit vinctos in fortitudine, similiter eos qui exasperant, qui habitant in sepulchris. 7.Deus, cum egredereris in conspectu populi tui, cum pertransires in deserto

8.terra mota est, etenim caeli distillaverunt, a facie Dei Sinai, a facie Dei Israel.

9. Pluviam voluntariam segregabis, Deus, haereditati tuae; et infirmata est, tu vero perfecisti eam.

  1. Animalia tua habitabunt in ea; parasti in dulcedine tua pauperi, Deus (3).
  2. Dominus dabit verbum evangelizantibus, virtute multa (4).
  3. Rex virtutum dilecti, dilecti; et speciei domus dividere spolia (5).
  4. Si dormiatis inter medios cleros, pennae columbae deargentatae, et posteriora dorsi ejus in pallore auri (6).
  5. Dum discernit caelestis reges super eam, nive dealbabuntur in Selmon (7).
  6. Mons Dei, mons pinguis. Mons coagulatus, mons pinguis:
  7. ut quid suspicamini montes coagulatos? Mons in quo beneplacitum est Deo habitare in eo; etenim Dominus habitabit in finem.
  8. Currus Dei decem millibus multiplex, millia laetantium; Dominus in eis in Sina in sancto.
  9. Ascendisti in altum, cepisti captivitatem, accepisti dona in hominibus (8);  etenim non credentes inhabitare Dominum Deum.
  10. Benedictus Dominus die quotidie: prosperum iter faciet nobis Deus salutarium nostrorum.
  11. Deus noster, Deus salvos faciendi; et Domini, Domini exitus mortis.
  12. Verumtamen Deus confringet capita inimicorum suorum, verticem capilli perambulantium in delictis suis.
  13. Dixit Dominus: Ex Basan convertam, convertam in profundum maris (9);
  14. ut intingatur pes tuus in sanguine, lingua canum tuorum ex inimicis, ab ipso.
  15. Viderunt ingressus tuos, Deus, ingressus Dei mei, regis mei, qui est in sancto.
  16. Praevenerunt principes conjuncti psallentibus, in medio juvencularum tympanistriarum.
  17. 26- In ecclesiis benedicite Deo Domino de fontibus Israel.
  18. Ibi Benjamin adolescentulus, in mentis excessu; principes Juda, duces eorum; principes Zabulon, principes Nephthali (10).
  19. Manda, Deus, virtuti tu ae; confirma hoc, Deus, quod operatus es in nobis.
  20. A templo tuo in Jerusalem, tibi offerent reges munera.
  21. Increpa feras arundinis; congregatio taurorum in vaccis populorum ut excludant eos qui probati sunt argento (11): dissipa gentes quae bella volunt.
  22. Venient legati ex Aegypto; Aethiopia praeveniet manus ejus Deo.
  23. Regna terrae, cantate Deo; psallite Domino; psallite Deo.
  24. Qui ascendit super caelum caeli, ad orientem: ecce dabit voci suae vocem virtutis.
  25. Date gloriam Deo super Israel; magnificentia ejus et virtus ejus in nubibus.
  26. Mirabilis Deus in sanctis suis; Deus Israel ipse dabit virtutem et fortitudinem plebi suae. Benedictus Deus!

[Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.-Cantico di David. 1- Sorga Iddio, e sian dispersi i suoi nemici e fuggan, quei che l’odiano, davanti alla sua faccia. 2- Come si dilegua il fumo, si dileguino; come si scioglie la cera davanti al fuoco, così periscano gli empi in faccia a Dio. 3- Ed i giusti tripudino ed esultino al cospetto di Dio, e gioiscano per l’allegrezza. 4- Cantate a Dio, inneggiate al suo nome, spianate la strada a colui che s’avanza per i deserti: il suo nome è il Signore, esultate al suo cospetto. Si sbigottiranno [gli empi] alla presenza di lui. 5- Padre degli orfani e giudice delle vedove, Dio sta nella sua santa dimora. 6- Iddio che dà ai solitari una casa, che libera i prigionieri con fortezza: soltanto i ribelli restan nella steppa! 7- O Dio, quando uscisti alla testa del tuo popolo, quando traversasti il deserto, 8- la terra si scosse e i cieli gocciolarono, di fronte al Dio del Sinai, di fronte al Dio di Israele, 9- Una spontanea pioggia tu largisti al tuo retaggio, e stanco ch’e’ fu, tu lo ristorasti. 10- I tuoi animali si fermarono in mezzo ad esso: tu provvedesti al povero, o Dio, nella tua bontà. 11- Il Signore fa parlare i messaggeri per la sua molta prodezza: 12- i re degli eserciti fuggono, fuggono, e la venusta [signora] della casa spartisce le spoglie. 13-Oh! Riposate entro i sortiti confini;le ali della colomba sono argentate, e l’estremità del dorso ha il pallore dell’oro! 14- Mentre il celeste [nume] disperdeva i re su quelle [terra], biancheggiavano di neve le pendici sul Selmon. 15- Monte di Dio, monte ferace, monte opimo, monte ferace! 16- Perché guardate i monti opimi? [È Sion] il monte in cui si è compiaciuto Iddio di abitare: e invero ci abiterà per sempre. 17- I carri di Dio son decine di migliaia, [v’è] migliaia di giubilanti: il Signore viene dal Sinai nel santuario. 18- Tu ascendo in alto [sul Sion], trascini dietro prigionieri, ricevi doni tra gli uomini; sì, anche [tra] i ribelli, perché ci abiti il Signore Dio in eterno. 19- Benedetto il Signore Iddio ogni giorno! Prospere rende a noi le vie Iddio della nostra salvezza. 20- Il nostro Dio è un Dio che salva, e in mano del Signore Iddio è lo scampo da morte. 21- Ma Dio schiaccerà il capo dei suoi nemici, il cocuzzolo capelluto di quei che camminano nei loro delitti. 22- Ha detto il Signore: “Da Basan li ricondurrò, [li] ricondurrò dal fondo del mare! 23- affinché si tuffi, [o Israele], il tuo piede nel sangue, e la lingua de’ tuoi cani n’[abbia] la sua parte succhiandolo da’ nemici”. 24- Vedono la tua avanzata, o Dio, lavanzata del mio Dio, del mio re, nel santuario. 25- Precedono i cantori, uniti ai sonatori di cetra, in mezzo a fanciulle sonatrici di cembali. 26- Nelle adunanze benedite Iddio, [benedite] il Signore, voi scaturiti] dalla fonte d’Israele! 27- [Ecco] là Beniamino, il giovane, in rapimento di spirito, i principi di Giuda, i loro capi, i principi di Zabulon, i principi di Neftali. 28- Comanda o Dio, alla tua possanza, rafferma o Dio, ciò che hai fatto per noi. 29- Dal tuo tempio, in Gerusalemme, t’offriranno doni i re. 30- Minaccia la bestia dei canneti, la torma de’ tori tra le vacche de’ popoli: i vitelli dei popoli: che si prostrino con pezzi d’argento! Disperdi le nazioni che vogliono le guerre. 31-Verranno [allora] ambasciatori dall’Egitto, l’Etiopia stenderà le mani a Dio. 32- Regni della terra, cantate a Dio, inneggiate al Signore; inneggiate a colui 33 -che se ne viene a cavallo dal sommo cielo verso oriente! Ecco egli dà alla sua voce suono potente. 34- Date gloria a Dio! Sopra Israele è la sua magnificenza , e la sua potenza nelle nubi. 35- Mirabile è Dio nel suo santuario: Iddio d’Israele, è lui che dà valore e forza al suo popolo. Benedetto sia Iddio!

(1) – Per ben intendere questo magnifico Salmo e comprenderne il senso, talvolta così misterioso e sì difficile, sono da fare tre importanti annotazioni: .1° ci si ricordi che, nell’estasi profetica, tutto appare, tutto si riscopre agli occhi del profeta contemporaneamente. Da qui questo brusco passaggio da un oggetto all’altro, queste associazioni di idee istantanee ed inattese, questo miscuglio, e per così dire, questa confusione di cose che ci rendono talvolta sì ardua l’intelligenza dei Salmi profetici; – 2° la Chiesa è una, perpetua, universale ed abbraccia tutti i tempi, e questa perpetuità si sviluppa in due periodi successivi: nel primo, la Chiesa è figurativa, è l’abbozzo di ciò che più tardi deve essere il capolavoro: è la stessa Chiesa che conduce Mosè e che regge l’Uomo-Dio, di cui Mosè non era che la prefigurazione. Questa unità fa comprendere come, in questo Salmo, il Profeta passi, senza transizione, dalle meraviglie antiche alle opere degli ultimi giorni. – .3° Occorre anche grandemente fissare gli oggetti multipli dei quali questo Salmo è pieno. Il Profeta descrive una solennità, ma la descrizione di questa solennità non serve al Profeta che da cornice per gli sviluppi più sublimi e le rivelazioni più grandiose.

.(2) -“Fate un cammino”, apostrofe agli abitanti dei luoghi ove deve passare l’Arca. “A Colui che sale verso il ponente”. L’armata vittoriosa ritorna a Gerusalemme dal lato di ponente; essa, di conseguenza, avanzava verso Sion attraverso le contrade che erano ad occidente di Gerusalemme.

.(3) – Davide fa qui allusione ai ribelli, condannati a non entrare nelle terra promessa ed a perire nella solitudine del deserto.

.(4) – “Una pioggia volontaria”. Una pioggia tutta di favore, secondo gli uni, pioggia reale che rinfrancava gli Ebrei nella solitudine, e più verosimilmente, secondo gli altri, pioggia della manna di cui essi furono nutriti nel deserto e che è la figura della dottrina evangelica. “I vostri animali vi abiteranno”. Allusione alle quaglie che si sono abbattute in mezzo al campo per nutrire gli Ebrei che avevano preso in disgusto la manna.

(5) – Nelle feste pubbliche e nei trionfi, le donne cantavano le gesta dei vincitori, [Es. XV, Giud. V, I Re XVIII, Giud. XVI.]

(6) – “Rex virtutum dilecti dilecti”, vale a dire “erit dilectissimae o dilectissimo huic cedet erit ejus possessio”. – Questo può applicarsi al popolo di Israele, che assoggettava i re potenti della terra di Chanaan, ma conviene altresì meglio a Gesù Cristo, questo beneamato dal Padre, in cui ha messo tutte le sue compiacenze . – La bellezza della casa, le donne della casa (Giob. V, 24). In Oriente le donne sono ordinariamente chiuse all’interno della casa.

(7) – Quando riposerete in piena sicurezza nelle terre che vi saranno assegnate in sorte (clerus, dalla parola greca κληρόσ), voi brillerete dello splendore dell’argento e dell’oro, similmente alle colombe le cui ali sono argentate e le cui piume che ricoprono l’estremità del dorso riflettono il verde pallore dell’oro.

(8) Mentre il Dio del cielo dissipa i re di questa terra data in eredità al suo popolo. Allora Dio voleva scegliere una montagna per sua dimora. Il Selmon, montagna della catena del Basan, a nord-est della Palestina, sembrava degna di questo onore, a causa della sua vetta elevata, sempre coperta da neve. Senza dubbio, questa catena di Basan è una montagna elevata, una montagna dalle sommità dense, ma non è quella che Dio ha scelto. Perché arrestate i vostri sguardi, o popolo di Israele? È qui su Sion che Dio vuole abitare. – Da questa montagna di Selmon, il Salmista passa dunque alla montagna di Sion.

(9). – Tu ti elevi, o Dio! Nell’arca, sulla montagna santa, per farne tua dimora; tu trascini al tuo seguito i tuoi nemici, che hai fatto prigionieri mediante le mie mani; tu ricevi da essi i tributi che hai loro imposto. – L’Arca rappresenta qui l’umanità di Gesù Cristo che si eleva al cielo nel giorno dell’Ascensione portando prigionieri i principi delle tenebre (Col. II, 15). Tutto ciò che Egli riceve, lo riceve con la sua Chiesa alla quale Egli lo dà; è tale il senso che San Paolo dà a questo versetto (Efes. IV, 8).

(10) – “Io li condurrò da Basan (dall’Oriente), nel paese di Chanaan, dove essi saranno messi a morte con la spada, o precipitati nel mare”. – Il Salmista fa menzione di qualche tribù che le rappresenta tutte, e questa menzione di tribù che marciano separate, sarebbe una prova che questo Salmo è stato evidentemente composto prima della cattività.

(11) – Questa bestia delle canne (il coccodrillo o l’ippopotamo), figura il re d’Egitto con i grandi del suo reame, comparati a due tori potenti e con i loro popoli che li circondano, che si abbandonano ai loro capi, come le vacche ai tori, ed assecondano i disegni che hanno formato di scacciare i servitori provati da Dio.

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Sommario analitico

In questo Salmo, composto nell’occasione del trasporto dell’arca dalla casa di Abededom nel tabernacolo preparato sulla montagna di Sion (II Re, VI, 12), [Hengstenberg ed altri esegeti pensano che questa occasione fosse quella della traslazione solenne dell’Arca, quando in seguito alle guerre essa fu condotta, accompagnata dai prigionieri, sul monte Sion], Davide contempla e celebra il trionfo di Gesù Cristo sulla morte, la sua Ascensione al cielo ed i doni che Egli ha sparso sulla Chiesa nascente.

I. – Egli descrive la splendore del suo trionfo:

1° la dispersione e l’annientamento dei suoi nemici (1, 2);

2° la gioia e la sicurezza dei giusti, che cantano dei cantici in onore del Salvatore che ascende al cielo (3, 4);

3° la protezione che Egli accorda alle vedove e agli orfani (5);

4° La sua entrata trionfale nel suo palazzo, la pace e l’unione che Egli fa regnare intorno a sé e la libertà che accorda ai prigionieri dei quali ha distrutto le catene. (6)-

II. – I doni che il trionfatore distribuisce in abbondanza:

1° Come figura di questi doni, egli ricorda i benefici di Dio nei riguardi del suo popolo nel deserto, la manna che il Dio del Sinai fa piovere dal cielo per nutrirlo (7, 8);

2° egli adatta la figura alla realtà e ci fa vedere come Gesù Cristo salendo al cielo abbia inviato, sugli Apostoli ed i fedeli, lo Spirito Santo come una pioggia celeste, a) per guarire la terra dalla sua sterilità e rendere la sua Chiesa feconda (9); b) per nutrire i fedeli che abitano nel suo seno (10); c) per dare loro la forza di operare i miracoli e di convertire con la loro parola coloro che sono chiamati a far parte della Chiesa (11, 12); d) per dar loro la sicurezza ed anche il fulgore e splendore in mezzo ai pericoli (13, 14); e) per porli sulla sua montagna, di cui enumera i privilegi (15, 16).

III. –La condotta del trionfatore:

1° Nei riguardi di coloro che Egli ha liberato, a) come in precedenza, egli parla dapprima figurando l’Ascensione, cioè l’ascesa di Dio al Sinai, in mezzo agli Angeli (17); b) egli celebra il fatto stesso dell’Ascensione – la liberazione dei prigionieri – i doni che Dio ha elargito agli uomini, anche su coloro che non credono (19); c) egli rapporta il canto trionfale dei prigionieri liberati, lodando Dio per aver appianato davanti a loro il cammino, e per averli ritirati dalla morte e condotti al termine del viaggio (20, 21).

2° Nei riguardi dei loro nemici, cioè dei demoni che tenevano prigionieri questi uomini, a) egli indica il modo in cui saranno distrutti; b) ne fa conoscere la causa (22); c) egli indica il luogo ove compirà questo castigo: le profondità dell’inferno (23);

.d) egli svela tutto il rigore del castigo e la grandezza della vittoria (24).

IV. – Egli predice le lodi che gli Apostoli, I Re ed i popoli convertiti alla fede, canteranno in onore del celeste Trionfatore:

1° Egli ci insegna che gli Apostoli sono stati testimoni dell’Ascensione del Salvatore (24); 2° le lodi cantate da essi, dalla folla dei fedeli e che il Profeta esorta a continuare (25); 3° egli indica da quale tribù vengono gli Apostoli (26, 27); 4° predice che i re delle nazioni, dei quali chiede la conversione, vedranno Lui che offre dei doni 828, 29). 5° Egli predice che i popoli si uniranno ai re in una medesima fede; a) egli chiede a Dio di reprimere gli sforzi dei tiranni e dei demoni che si oppongono a questa conversione dei popoli; b) di dissipare le agitazioni ostili delle nazioni stesse (30), c) predice come frutto la conversione delle nazioni più ostinate nel culto degli idoli (31). 6° I re canteranno a Dio dei cantici di azioni di grazie, in riconoscenza dei benefici della fede (32, 33); 7° Il Re Profeta descrive la potenza di Gesù-Cristo regnante sul suo trono, per eccitare i popoli a lodare eternamente questo Dio magnifico, ammirevole nei suoi Santi, e fonte di ogni potenza e di ogni forza per il suo popolo (34, 35).

 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

1-3. “Sorga Dio, etc.”. È cosa già fatta. Il Cristo che è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto in tutti i secoli, il Cristo è risuscitato (Rom. IX, 6), e i Giudei suoi nemici sono dispersi tra tutte le nazioni. Vinti nel luogo stesso ove essi hanno esercitato contro di Lui la loro inimicizia, sono stati di là dispersi tra tutti i popoli. Ed ora essi odiano il Cristo, ma essi Lo temono, e sotto l’impero di questo timore, essi fuggono lontano dalla sua faccia. Per l’anima, in effetti, temere, è fuggire; perché, come fuggire, secondo il modo del corpo, la faccia di Colui che rende sensibile in tutti i luoghi gli effetti della sua presenza? Essi fuggono, dunque, non con il corpo, ma con lo spirito; non nascondendosene, ma temendoLo; non quella faccia di Dio che essi non seppero vedere, ma quella che essi sono forzati a vedere (S. Agost.). – “Come il fumo svanisce, essi svaniscono da se stessi”. Il fumo è trasportato dal vento, la cera si liquefa a causa del fuoco, e gli empi cadono così senza forza e senza resistenza davanti alla maestà dell’Altissimo. In effetti, sollevati dal fuoco del loro odio, i nemici di Dio e del suo Cristo, si sono elevati al colmo dell’arroganza, essi hanno innalzato la testa fin nel cielo (Ps. LXXII, 9), ma ben presto essi svaniranno nella vergogna dei loro peccati. “Come le cera fonde davanti al fuoco, così i peccatori periscono davanti alla faccia di Dio”. Forse il Profeta ha voluto rappresentare in questo modo coloro la cui durezza si fonde nelle lacrime della penitenza; ciò nonostante si può forse vedere in questo passaggio una minaccia del giudizio prossimo, perché dopo essersi elevati in questo mondo come il fumo, e quindi dopo essersi dissipati nel loro orgoglio, i peccatori saranno colpiti alla fine con l’ultima condanna e periranno per l’eternità davanti alla faccia di Dio, quando Egli si sarà manifestato nel suo splendore, simile al fuoco più vivo, per essere il castigo degli empi e la luce dei giusti (S. Agost.). – Due gli avvenimenti del Messia nei quali Egli deve trionfare sui suoi nemici. Il primo è passato, e noi ne gioiamo, il secondo è da venire, e noi lo attendiamo. – Augurio legittimo: che Dio sia elevato e che i suoi nemici siano confusi. – Desiderio cristiano, che Dio si elevi in un’anima, che ne prenda possesso e che tutti i suoi nemici siano dissipati ed annientati; vale a dire che i peccatori non siano più peccatori, e che i loro peccati non compaiano più davanti alla sua faccia. – I due grandi nemici di Dio nell’anima del peccatore sono l’orgoglio del suo spirito e la durezza del suo cuore. Quando la grazia si fa sentire a questo peccatore, la sua vanità sparisce come il fumo che il vento dissipa, la durezza del suo cuore si ammorbidisce e si rende flessibile a tutte le impressioni che gli si vogliono dare. Questo cuore, in precedenza insensibile e glaciale, riceve infine il calore del divino amore e comincia fondersi con il fervore dello spirito (S. Greg., Berthier). – La gioia dei giusti espressa da un festino, per significare 1° che essa è viva e fa su di essi un’impressione simile a quella che produce uno squisito nutrimento; 2° che essa è intima e non superficiale, 3° che essa fa, per così dire, parte della sostanza dei giusti, che essa li penetra e li fortifica, come il nutrimento che noi assumiamo. – È nella nuova Alleanza un banchetto che riempie di gioia l’anima dei giusti: non è più un pasto alla presenza dell’Arca, è il Dio stesso dei due Testamenti che si dà come nutrimento ai suoi figli. Quali delizie inondano i Santi seduti alla tavola di Gesù Cristo! Essi solo possono spiegare i loro trasporti; ancora la loro lingua è troppo poco eloquente per dire ciò che passa nei loro cuori (Berthier). – Gettiamo gli occhi sul venerabile Sacramento dell’altare: è là che ci è preparata la tavola celeste e su questa tavola la coppa che produce la santa ebbrezza. (S. Greg.). – Comparata a questa gioia divina, ogni altra gioia è un dispiacere, ogni soavità è un dolore, ogni dolcezza è un’amarezza, ogni bontà una bruttura, tutto ciò che può lusingare e piacere, è spiacevole e penoso (S.Bern., Ep. 234). 4. “Cantate le lodi di Dio”. Si cantino le lodi di Dio che vive per Dio; si cantino dei salmi al suo nome, che lavora per la sua gloria. Celebrate le lodi di Dio con questi cantici, con questi salmi, cioè vivendo per Dio, lavorando per Dio. “Preparate, egli dice, la via a Colui che sale su per ponente”. Preparate la via a Cristo con i piedi ammirevoli di coloro che annunziano il Vangelo (Isaia LII, 7), i cuori dei credenti siano una strada aperta per Lui; perché è il Cristo che sale su da ponente, sia perché la vita nuova di colui che si converte a Lui, non si unisce alla sua se non quando l’uomo vecchio è morto con la rinunzia a questo secolo, ossia perché il Cristo è salito su da ponente, quando, con la sua Risurrezione, ha vinto la morte che aveva nascosto il suo corpo nella tomba (S. Agost.). – L’uomo è incapace da se stesso a preparare il cammino al Signore; ma quando Dio parla al suo cuore, accompagna la sua parola con l’unzione della sua grazia, per fargli compiere ciò che non può senza la sua assistenza. Egli abbassa in lui le montagne del suo orgoglio, riempie ciò che vi trova di vuoto, si prepara un cammino per arrivare fino a lui (Dug.). – “Trasalite di allegria in sua presenza”, o voi che preparate la via a Colui che sale su da ponente, esultate di allegria in sua presenza; “se voi siete in un’apparente tristezza, sarete non di meno in una gioia costante”, “afflitti ma sempre lieti”(IICor. VI, 10); perché, mentre aprite un cammino davanti a Lui, e così preparate una via per la quale Egli possa venire e possedere le nazioni, voi soffrirete mille mali che gli uomini giudicheranno ben tristi. Ma voi invece, non solo non vi lasciate abbattere, ma rallegratevi vivamente, non agli occhi degli uomini, ma davanti agli occhi di Dio. “Siate gioiosi per la speranza e pazientate in mezzo alle sofferenze (Rom. XII, 12). “Riempitevi di gioia alla sua presenza”. In effetti coloro che si turbano alla presenza degli uomini “saranno turbati in faccia a Colui che è il Padre degli orfani ed il giudice protettore delle vedove”.  Questi, in effetti, sembrano, a giudizio degli uomini, colpiti dalla desolazione per essere stati separati, il più spesso, dalla spada della parola di Dio, dai figli di cui essi erano i padri, o dalle donne delle quali erano gli sposi (S. Matt. X, 34). Ma nel loro rigetto, nella loro vedovanza, essi trovano consolazione presso “il Padre degli orfani ed il Giudice protettore delle vedove”. Essi trovano consolazione presso di Lui, se sanno dirGli. “mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, il Signore al contrario mi ha preso sotto la sua protezione” (Ps. XXVI, 10); se essi ripongono la loro speranza nel Signore e non cessano di pregare né di giorno né di notte (I Tim. V, 5), davanti a loro i malvagi saranno turbati, quando vedranno che i loro sforzi sono stati inutili e che il mondo intero ha seguito il Signore (S. Agost.). – “Io non vi lascerò orfani, aveva detto il Signore ai suoi Apostoli, Io ritornerò da voi” (S. Giov. XIV, 18); Io tornerò a voi con la mia grazia, con il mio Spirito, con l’Eucaristia. “Io non vi lascerò orfani”, vale a dire “Io non vi invierò il mio Spirito, di modo che Io cessi di essere con voi. Questo nome di orfano che dà loro, indica chiaramente che Egli è loro Padre. Io tornerò a voi dopo la resurrezione del mio corpo, Io che sono sempre con voi con la presenza della mia divinità (S. Bern., Tract. De Coena.). – 6. Il Signore si fa un tempio di questi orfani e di queste vedove, cioè di coloro che sono come destituiti da ogni eredità nelle speranze del mondo. È di questo tempio che parla il Profeta quando dice: “il Signore abita nel suo luogo santo”. Egli mostra chiaramente in effetti, qual è questo luogo santo, quando aggiunge: “Dio fa abitare nella sua casa coloro che sono della stessa sorte, cioè coloro che non hanno che uno stesso pensiero, uno stesso sentimento”. Questi formano il luogo santo del Signore, perché, dopo aver detto: “il Signore abita nel suo luogo santo”, come se noi Gli domandassimo qual è questo luogo, poiché esso è tutto intero dappertutto, il Profeta ci risponde per farci comprendere a non cercarlo fuori di noi, ma piuttosto a riunirci in una stessa maniera di vivere, alfine di meritare che Dio si degni di abitare in noi. Ecco il santuario del Signore, che cercano la maggior parte degli uomini, per pregarvi ed essere esauditi. Che essi siano dunque per se stessi questo luogo che essi cercano, che essi vi abitino come nella casa del Signore, con coloro che non hanno che un solo spirito, uno stesso sentimento, uno stesso pensiero, e che là, nel loro cuore, cioè nel silenzio di questo letto misterioso, essi ripassino con compunzione tutte le loro parole (Ps. IV, 5), affinché il Maestro della grande casa risieda in essi, ed essi siano quello stesso santuario nel quale saranno esauditi (S. Agost.). – Questa profezia si è compiuta nella Chiesa cristiana che lo Spirito Santo formò nel giorno della Pentecoste in cui fece come un solo cuore di tutti i fedeli, e di tutte le loro case, una sola casa, ove essi erano riuniti in un solo corpo, del quale Gesù-Cristo era il capo. – Quale spettacolo mirabile nella Chiesa cattolica, quello di questa unione di tutti i veri fedeli con i loro Pastori, e di tutti i Pastori particolari con il Pastore Universale! Che altro poteva il Signore produrre se non questa unanimità di pensiero, di vedute, di sentimenti? In questo secolo di contraddizioni, di confusione, di tenebre, questo accordo di tanti spiriti in una stessa luce, di tanti cuori in uno stesso amore, questa identità dottrinale e morale di tutti, malgrado la diversità dei punti di partenza di ciascuno, è la prova manifesta della divinità della Chiesa cattolica; è la testimonianza irrecusabile della presenza e dell’azione di Dio nella sua città santa (Mgr. Pie, Entret. Syn. t. IV, p. 458). – È per effetto della sua grazia che si costruisce questa casa, e non a causa dei meriti di coloro con i quali Egli la costruisce. Considerate in effetti, ciò che segue. “Egli libera e fortifica quelli che erano in catene”. Egli ha in effetti spezzato con la sua grazia le pesanti catene che impedivano ai colpevoli di camminare nella via dei suoi comandamenti; Egli li ha liberati ed ha dato loro una forza che essi non avevano prima di aver ricevuto la sua grazia. Egli libera ugualmente coloro che Lo irritano abitando le tombe”, cioè coloro che sono morti in vario modo e non sono occupati che in opere morte. In effetti, questi Lo irritano con la loro resistenza a ciò che è giusto; perché per i primi che sono nelle catene, forse essi volevano camminare, ma costoro non lo vogliono; essi pregano Dio per averne i mezzi e Gli dicono: “liberatemi dalle mie necessità” (Ps. XXIV). E quando Dio li ha esauditi, essi Gli rendono grazie dicendo : “Voi avete spezzato i miei legami” (Ps. CXV, 7). Ma questi peccatori che Lo irritano, abitando le tombe, sono del genere di quelli che la Scrittura designa con queste parole: “da un morto che non è più, la riconoscenza si perde” (Eccles XVII, 23). Di là ancora questa parola: “Il peccatore quando è caduto nel profondo dell’abisso, disprezza tutto” (Prov. XVIII, 3). Una cosa è in effetti, desiderare la giustizia, altra cosa il combatterla, una cosa è l’essere liberato dal male, altra cosa è il difendere i propri peccati in luogo di confessarsi; pertanto, la grazia del Signore libera e fortifica l’uno e l’altro tipo di peccatore? E quale forza dà loro, se non quella di lottare fino al sangue contro il peccato? Perché Egli trova dei peccatori di questi due tipi, che devono proprio a ciò che il santuario di Dio sia costruito in essi. Gli uni dopo la loro liberazione, gli altri dopo la loro resurrezione (S. Agost.). – Questa vita è un luogo di prigionia ed un deserto. Dio deve un giorno liberarci, e noi temiamo il momento della nostra liberazione. Noi vogliamo, dice S. Agostino, sempre accumulare dei giorni e non giungere mai alla fine di questa carriera; noi vogliamo sempre marciare e mai arrivare; questo è irragionevole e contraddittorio. Quale sarà infine la nostra sorte? Quella che il Profeta descrive: noi moriamo da ribelli, ed abiteremo eternamente in luoghi aridi ove la misericordia divina non espande le sue influenze, noi approderemo a queste tombe ove la luce non penetra mai. È una sciagura non profittare del deserto di questa vita per entrare nella terra promessa! (Berthier).

II. —7-16.

7, 8. “O Dio, quando voi uscite in presenza del vostro popolo”. Per Dio, uscire, significa apparire nelle sue opere. Ora, questo non è da tutti, ma appartiene solamente a coloro che sanno ammirare le sue opere. – Io non parlo attualmente di queste opere che colpiscono gli occhi di tutti, come il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che esse racchiudono, ma delle opere per le quali “Egli libera e fortifica coloro che sono nelle catene”, così come coloro che Lo irritano abitando nelle tombe, per farli abitare nella sua casa come aventi un solo cuore ed una sola anima. È così che Egli esce in presenza del suo popolo, cioè in presenza di coloro che comprendono questa grazia (S. Agost.). – Gesù-Cristo marcia alla nostra testa nel deserto di questa vita; Egli espande su di noi le benefiche influenze della sua grazia; Egli scuote i nostri cuori, sia con il timore dei suoi giudizi, sia con la veemenza del suo amore. Egli si mostra a noi come il Signore si mostrava agli Israeliti nella nube miracolosa; luce da un lato, tenebre dall’altra; molta luce per guidare i nostri passi, tante tenebre per provare la nostra fede. La nostra sventura è il perdere di vista il Conduttore beneficante, e di imitare gli Ebrei che rimpiangevano i falsi beni dell’Egitto. Ah! Diceva S. Gregorio, seguiamo Gesù-Cristo: la strada che Egli ci mostra sembra rude e difficile all’inizio, essa è piena di dolcezze per coloro che conducono una vita perfetta (Berthier). – “La terra è stata scossa quando passavate nel deserto”. Il deserto, erano i gentili che non conoscevano Dio; il deserto era il luogo ove Dio non aveva dato alcuna legge, o nessun profeta aveva abitato e predetto la venuta del Salvatore. “Quando voi dunque passavate nel deserto”, quando il vostro Nome è stato predicato ai gentili, “la terra è stata scossa”, gli uomini della terra sono stati svegliati e chiamati alla fede. Ma come è stata scossa la terra? “Perché i cieli si sono fusi in acque davanti al Dio del Sinai, davanti al Dio di Israele ….”. si tratta qui dei cieli di cui in un altro Salmo è detto: “I cieli raccontano la gloria di Dio”, e poco oltre “Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono” (Ps. XVIII, 4). In ogni caso non è a questi cieli, per grandi che essi siano, che bisogna attribuire la gloria di aver scosso la terra fino a condurla alla fede, come se il deserto delle nazioni fosse debitore di questa grazia a questi uomini; non è da se stessi che questi cieli hanno dato la loro pioggia, ma questa pioggia è partita dalla faccia di Dio … perché è dal Signore che è detto in un altro punto: “voi versate ammirevolmente la vostra luce dall’alto delle montagne eterne” (Ps. LXXV, 5); benché sia dall’alto delle montagne eterne che viene la vostra luce, tuttavia siete Voi che la spandete. Lo stesso qui: “I cieli si sono fusi in pioggia”, ma questa pioggia è partita dalla faccia di Dio” (S. Agost.). 9, 12.-  La pioggia è qui il simbolo della grazia in noi, della Dottrina della salvezza e della santa Eucaristia; è una pioggia volontaria e tutta gratuita, perché essa è dovuta alla bontà di Dio e non ai nostri meriti. – Dio spande le sue grazie con abbondanza e con una liberalità che è generata dalla sua misericordia, perché noi non possiamo ottenerla da noi stessi. Questa liberalità tutta gratuita esige da noi che noi vi corrispondiamo con una perfetta buona volontà, e con grande coraggio in mezzo alle prove di questa vita, cosa che non fecero i Giudei carnali che, colmi di benefici del Signore, non cessarono di mormorare contro di Lui quando li minacciavano le avversità (Berthier). – Questo popolo che fu ricondotto dall’Egitto con grande clamore; e noi che siamo oggi il popolo di Dio, noi dobbiamo essere liberati da questo mondo, che è l’Egitto in rapporto a noi, e questa liberazione arriverà quando Gesù Cristo apparirà nella sua gloria. Ecco allora due grandi benefici, uno passato, ed uno futuro. Cosa c’è in mezzo? Delle tribolazioni? Perché? Al fine di manifestare la volontà di coloro che servono Dio, affinché appaia fin dove portino lo zelo del suo servizio, affinché si veda se essi servono con disinteresse Colui dal Quale hanno ricevuto gratuitamente la salvezza (S. Agost.). –Quando una terra è stata fertilizzata, gli armenti vi abbondano, perché essi trovano il nutrimento di cui hanno bisogno. Il povero è alleviato e si riconosce che la benedizione del cielo è su questo retaggio. Ognuno deve interrogarsi sullo stato della propria anima, di questa terra che Dio gli dà da coltivare. Ma qui non vi si trovano che animali feroci, cioè passioni indomite! (Berthier). – “Oh! Se poteste vedere il campo del vostro cuore, fondereste in lacrime e non trovereste un solo boccone di cui potervi nutrire. Tutto il vostro uomo interiore perisce per la fame; esso è quasi morto. Quanti morti vediamo camminare nel mondo!” (S. Agost.). – “Voi avete preparato nella vostra soavità, o Dio mio, ciò che è necessario al povero”… nella vostra soavità e non nelle sue ricchezze. In effetti, egli è povero, perché è stato fiaccato per essere reso perfetto, ed ha riconosciuto la sua indigenza per essere poi ricolmo di beni. È di questa soavità che il Profeta dice allora: “Il Signore spanderà la sua soavità, e la nostra terra porterà i suoi frutti” (Ps. LXXXIV, 13), affinché faccia il bene, non per timore, ma per amore, non per il terrore del castigo, ma per l’attrattiva della giustizia; perché tale è la vera libertà. Ma il Signore ha preparato questi beni per l’indigente e non per il ricco, che guarda questa povertà come un obbrobrio; obbrobrio, dice ancora il Salmista, per colui che è nell’abbondanza, ed oggetto di disprezzo per gli orgogliosi (Ps. CXXII, 4), (S. Agost.). – “Il Signore darà la sua parola a coloro che evangelizzano con una grande forza”. È Dio solo che dà Egli stesso la parola che vuole che si annunci al suo popolo, ed il coraggio per annunciarla con forza; nessuno dunque deve ingegnarsi da se stesso in questo ministero. – È Dio che ispira i ministri della sua parola; è Lui che dà loro la forza di predicare in mezzo ai più grandi pericoli. – Coloro che il Signore ha scelto per annunciare la sua volontà provano che lo Spirito-Santo parla con la loro bocca; essi sono illuminati prontamente dalla verità ed infiammati dalla carità … ma essi devono leggere con grande precauzione le Sante Scritture; perché colui che le consulta non in spirito d’amore, ma in spirito di curiosità, e per diventare sapiente, si arricchisce non della pienezza della parola, bensì della pienezza del libro (S. Greg.). – È l’amore della parola di Dio, e non l’amore della scienza che deve condurre allo studio del santi Libri. – La forza che Dio ha comunicato ai predicatori del Vangelo si è manifestata in tre maniere. .1° con l’efficacia dei loro discorsi, hanno convertito il mondo intero: “così le mie parole non torneranno senza frutto, esse compiranno i miei disegni, e prospereranno in tutto ciò che Io ho voluto” (Isaia. LV, 11); .2° per la libertà dei loro discorsi, che è giunta fino a rimproverare i re per la loro vita licenziosa e dissoluta, e le loro empietà: “Io stesso vi darò le parole ed una saggezza alla quale tutti i vostri nemici non potranno resistere, e che essi non potranno contraddire” (S. Luca XXII, 15); .3° per la potenza e la virtù dei miracoli. “le mie parole e la mia predicazione, dice S. Paolo, non sono consistite in parole persuasive di saggezza umana, ma nelle prove sensibili dello Spirito e della potenza di Dio” (II Cor. IV). 13, 14. Gesù-Cristo è il Re dei re ed il Signore dei signori. Egli li ha assoggettati tutti, condividendo le spoglie del “forte armato”, cioè rendendosi maestro di tutte le nazioni che appartenevano in precedenza ai demoni, ed ha così formato tutte le bellezze della sua casa, che è la Chiesa. – Si, il Cristo ha reso bella la casa, cioè la Chiesa, con la distribuzione delle proprie spoglie, con un corpo che è bello per la distribuzione delle sue membra. Ora, si chiama spoglia ciò che è tolto ai nemici vinti. “Nessuno, dice il Salvatore, entra nella casa del forte per togliergli le armi, se non ha prima legato il padrone (S. Matt. XII, 29). Il Cristo ha dunque caricato il demonio di legami spirituali, con la vittoria che ha riportato sulla morte e con la sua Ascensione dagli inferi ai cieli. Egli lo ha legato con il mistero della sua incarnazione, ragion per cui il demonio, benché non avesse potuto trovare nulla che Gli facesse meritare la morte, ha ricevuto il permesso di farLo perire. Egli lo ha legato e gli ha tolto le sue armi come delle spoglie, perché Egli agiva sui figli della diffidenza (Efes. II, 2), per cui Egli assoggettava l’infedeltà ai propri disegni. Allora il Signore ha purificato queste armi con la remissione dei peccati; Egli ha santificato queste spoglie strappate ad un nemico abbattuto e caricato di catene, e le ha distribuite per la bellezza della sua casa. Degli uni ne ha fatti degli Apostoli, degli altri dei Profeti, altri Pastori, o dottori per i bisogni del Ministero, alfine di edificare il corpo di Cristo (Ibid. I, 4), (S. Agost.). – Le spoglie che Egli sottrae e delle quali arricchisce la Chiesa, è ancora il deposito delle sante verità che passa dalla sinagoga alla Chiesa Cristiana, il mondo intero che ha rapito al gentilizio, le vittime che strappa all’inferno, la vita che conquista sulla morte. – Qui dunque il Salmista ci espone, in termini figurati e profetici, l’organizzazione, la forza, i trionfi, le ricchezze della Chiesa. – Sotto la condotta di Gesù-Cristo, il prediletto di Dio, i piccoli, i poveri, i semplici, le donne stesse riportano le vittorie sui nemici della salvezza. Talvolta il Signore, per manifestare i tesori della sua grazia, ha dato lo spettacolo delle virtù più perfette nelle condizioni più eminenti; ma, dice Sant’Agostino, io vedo i peccatori chiamati prima dei filosofi, io vedo Pietro preferito ai re, io vedo migliaia di vergini impossessarsi della corona, e dai bambini anche tenere lezione ai vecchi (Bethier). – “Se voi dormite in mezzo a terre che vi sono toccate in eredità”. Il Profeta sembra rivolgersi a coloro ai quali sono stati distribuiti come delle spoglie per la beatitudine della casa, secondo l’utilità particolare che lo Spirito Santo manifesta per ognuno. Se voi dormite in mezzo alle vostre eredità, voi sarete come le ali della colomba argentata, cioè vi eleverete ad una nuova altezza, restando attaccati alla forza che unisce la Chiesa; perché questa colomba argentata è quella di cui è detto: “Unica è la mia colomba” (Cant. VI, 8). Essa è argentata perché istruita dagli insegnamenti divini per cui in un altro Salmo è detto: “I vostri insegnamenti, Signore, cono come l’argento che il fuoco ha separato da ogni terra e che è stato purificato dette volte” (Ps. XI, 7). È dunque un gran bene il dormire in mezzo alle eredità, che significano, secondo qualcuno, i due Testamenti; così, il dormire in mezzo alle parti, è riposare sull’autorità dei due Testamenti; cioè annuire alle testimonianze dei due Testamenti. Di modo tale che ogni parola proposta e riconosciuta proveniente dall’una o dall’altra fonte, mette termine pacificamente ad ogni discussione col riposo più perfetto. Se così è, qual avvertimento è dato qui a coloro che evangelizzeranno con una grande forza, se non è Dio ad accordar loro questa parola con la quale essi potranno evangelizzare, se essi dormono in mezzo a queste due eredità? In effetti a loro è data la parola di verità quando essi riposano sull’autorità dei due Testamenti, e che essi stessi sono le ali della colomba argentata, portando fino in cielo, con la loro predicazione, la gloria della Chiesa (S. Agost.). – Applicato ai semplici fedeli, questo versetto contiene una verità non meno toccante. In effetti, se l’eredità del primo Testamento, essendo l’ombra figurativo del secondo, consisteva in una felicità terrestre, e se l’eredità del Nuovo Testamento è l’eterna felicità, dormire in mezzo alle due eredità, non è la ricerca con ardore della prima, ma attendere con pazienza la seconda; perché, a coloro che servono Dio, o piuttosto che rifiutano di servire Dio, alfine di ritrovare la felicità in questa vita e su questa terra, il sonno sfugge ed essi non possono dormire. In effetti, agitati dai piaceri che li infiammano, essi sono spinti ai disordini ed ai crimini, e non hanno riposo, desiderando acquisire e temendo di perdere. “Al contrario, colui che mi ascolta, dice la Saggezza, abiterà nella speranza e riposerà senza timore, esente da ogni minaccia” (Prov. I, 33). Ecco che questo è dormire in mezzo alle eredità: è abitare, non ancora in realtà, ma già nella speranza, nella eredità celeste, e riposare lontano da ogni piacere di una felicità terrestre. Ma quando sarà arrivato ciò che noi speriamo, noi non dormiremo più in mezzo a due eredità; noi regneremo in ciò che è il nuovo ed il vero. Ecco perché nulla ci impedisce di comprendere queste parole: “Se voi dormite in mezzo alle eredità”, applicandole alla nostra morte, secondo il costume della Scrittura, che dà il nome di “sonno” alla morte della carne. Perché la migliore delle morti è quella dell’uomo che, perseverando fino alla fine nella repressione dei piaceri terrestri, e nella speranza dell’eredità celeste, vede l’ultima ora chiudere il corso della sua vita. Ora, coloro che si addormenteranno in questa sorte, saranno come le ali della colomba argentata, per essere trasportati, al momento della resurrezione, nelle nubi, nell’aere, davanti al Cristo, al fine di vivere per sempre con il Signore (I Tess. IV, 14), e si abbelliscono a misura dell’avvicinarsi al sole di giustizia (S. Agost.). – Queste ali argentate della colomba, dopo le grandi sofferenze, non sono ordinariamente per questa vita; questo splendore dell’oro non è che per coloro che sono stati epurati per lungo tempo nella fornace. – Criterio nascosto, ma pieno di giustizia, che il Re del cielo fa non soltanto dei re, ma pure di tutti i popoli della terra. – Separazione ben diversa secondo la quale gli uni diventeranno più bianchi della neve, e gli altri più neri del carbone (Duguet). – Le piume della colomba sono suscettibili di colori cangianti, a seconda di come esse siano esposte ai raggi del sole. Ciò che vi domina è il bianco, il grigio, il nero, il vinaccia, e da questo miscuglio ne risulta un colore che rassomiglia all’oro pallido. Il Profeta si serve qui di questa comparazione per designare la protezione che Dio accorderà al suo popolo, principalmente alla tribù di Giuda, quando anche essa sarà circondata dalle dieci altre tribù divenute sue nemiche, dopo lo scisma di Roboamo. Questa tribù è chiamata qui colomba, come lo è nel Cantico dei Cantici, perché essa rimane fedele più tempo delle altre all’alleanza con Dio (Berthier). 15, 16. Ma, nel timore che qualcuno osi comparare Nostro Signore Gesù-Cristo ai Santi, che pure sono chiamati montagne di Dio, e nella paura che si assimilasse a queste montagne, che sono i figli degli uomini, la montagna che è il Cristo, perché non mancherebbero uomini per dire, gli uni che era Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o uno dei profeti, il Salmista si volge ad esse e dice loro: “Perché supponete che queste montagne fertili siano la montagna ove è piaciuto a Dio stabilire la sua abitazione? Similmente questi grandi uomini hanno ricevuto il nome di luce, perché il Signore ha detto loro: “Voi siete la luce del mondo” (S. Matt. V, 14); ma è stato anche detto del Cristo: “ Egli è la vera luce, che illumina ogni uomo veniente in questo mondo” (S. Giov. I, 9); per cui questi uomini sono delle montagne gloriose, ma ben al di sopra di esse è la montagna preparata sulle cime delle altre montagne. Perché dunque supponete che queste montagne siano la montagna sulla quale è piaciuto a Dio fissare la sua dimora? Non è che Egli non abiti gli altri monti; ma non vi abita se non per il Cristo, “perché in Lui risiede tutta la pienezza della divinità”(Colos. II, 7). Il Signore abiterà le montagne che non sono comparabili a quella preparata sulle cime di tutte le altre; Egli vi abiterà per condurli fino alla loro fine, cioè fino a Se stesso, dove essi Lo contempleranno nella sua divinità (S. Agost.). – I luoghi elevati sono stati preferibilmente scelti da Dio per divenire il teatro delle sue divine manifestazioni. I luoghi elevati avvicinano al cielo, e l’esempio che vi si manifesta attira più facilmente gli sguardi. Così Gesù-Cristo compara la sua Chiesa ad una città posta su di una montagna, a causa della sua elevazione e della sua solidità, dice Sant’Agostino, ma la Chiesa non fa che un tutt’uno con Gesù-Cristo. Essa è una Montagna egualmente, perché Essa è il Corpo di Cristo; ma è Gesù-Cristo che è il fondamento della Chiesa, ed è legalmente Gesù-Cristo che Sant’Agostino riconosce in questa parola del Salmo: “La Montagna di Dio è una montagna grassa e fertile, ove è piaciuto a Dio l’abitarvi, perché è la Montagna ove le anime si rafforzano e si arricchiscono di doni celesti”. – Dio scelse quaggiù dei luoghi privilegiati, ove piacque a Lui spandere con più abbondanza le rugiade della sua grazia. Le sante lettere sono piene di questa teologia, ed essa è il fondamento della pratica antica e costante dei pellegrinaggi. E questo si collega a tutto l’insieme della Dottrina cattolica: Dio volendo entrare in trattative con l’uomo, cioè con l’essere nello stesso tempo intelligente e sensibile, ha dovuto adattare alla sua grazia i rapporti di tempo, luoghi e di persone. C’è dunque una vocazione, una predestinazione per i luoghi come per le persone; ci sono dei luoghi, delle montagne ove si sono accumulate delle meraviglie di un ordine soprannaturale, ove è stato il compiacersi di Dio nel risiedere dagli inizi, e dove risiederà fino alla fine (Mgr. Pie, t. VI, p. 524).

III. — 17-24.

 17, 18. Il Salmista termina questo Salmo con la descrizione del trionfo di Gesù-Cristo, che dopo essere disceso, con la sua Incarnazione seguita dalla sua morte, nelle parti più basse della terra, è salito dopo al di sopra di tutti i cieli, conducendo con Sé una moltitudine di prigionieri, ed ha distribuito magnificamente i suoi differenti doni sugli uomini, inviando loro lo Spirito Santo e, cosa più ammirevole, ha trionfato del cuore ribelle di coloro che erano interamente increduli e fatto in modo che popoli in precedenza infedeli ed increduli, abbiano dimorato nel Signore, e che il Signore abbia dimorato in essi (Duguet). – Dopo aver descritto il corteo che circonda il carro di trionfo del Signore, il Profeta si rivolge al Signore stesso: “Voi siete salito nell’alto dei cieli, voi avete catturato la prigionia, avete distribuito dei regali agli uomini. “ L’ Apostolo riporta questo versetto e lo applica a Nostro Signore in questi termini: “Ad ognuno di noi, la grazia è stata data secondo la misura del dono di Gesù. Ecco perché il Profeta ha detto: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini”. Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era “disceso” quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose (Efes. IV, 7-10). È dunque, senza alcun dubbio, di Gesù Cristo che il Profeta ha parlato dicendo: “Voi siete salito nell’alto dei cieli, Voi avete fatto prigioniera la cattività, Voi avete ricevuto i doni nella persona degli uomini.”. E non siete preoccupati dal fatto che l’Apostolo, citando questo passaggio, non abbia detto: “ Voi avete ricevuto dei doni nella persona degli uomini”, ma: “ Egli ha dato dei doni agli uomini”. L’Apostolo, con l’autorità che questo titolo gli dava, ha parlato come ha fatto considerando il Figlio come Dio con il Padre. In questo senso, effettivamente, Egli ha dato dei doni agli uomini, inviando loro lo Spirito-Santo, che è lo Spirito del Padre e del Figlio. Ma se si considera lo stesso Gesù Cristo nel suo corpo che è la Chiesa; se si considera che i Santi ed i fedeli sono sue membra, secondo queste parole dell’Apostolo: “Voi siete il corpo ed le membra di Cristo” (I Cor. XII, 27), senza alcun dubbio, in questa qualità, Egli ha ricevuto dei doni nella persona degli uomini (S. Agost.). – Ma cosa vuol dire: “Avete catturato la cattività”? Sarà perché Egli ha vinto la morte, che teneva prigionieri coloro sui quali essa regnava? O forse il Profeta ha designato, con questo termine “cattività”, gli uomini che il demonio teneva prigionieri? Il Profeta dà agli uomini che erano prigionieri, il nome di cattività, come noi diciamo “milizia” parlando dei militari. Il Profeta ha detto che la cattività era stata catturata dal Cristo. Perché in effetti, la cattività non sarebbe felice se gli uomini potessero essere fatti prigionieri per il loro bene? … Essi sono dunque prigionieri perché sono stati presi, e sono stati presi perché sono stati soggiogati; sottomessi a questo giogo che è pieno di dolcezza, liberati dal peccato di cui erano schiavi, essi sono divenuti i servitori della giustizia, rispetto alla quale essi erano liberi in precedenza (Rom. VI, 18). Ecco perché il Cristo è in essi, nello stesso tempo, Colui che ha dato i doni agli uomini, e Colui che ha ricevuto dei doni, nella sua Persona, dagli uomini. Così, in questa cattività, in questa servitù, a questo carro, sotto questo giogo vi sono migliaia di uomini, non che piangono, ma che gioiscono; perché “il Signore è in essi, nel suo Santuario”. – Ma cosa aggiunge il Profeta? “Anche coloro che non credono che Dio possa abitare in mezzo ad essi”. Non parla della cattività, e non dice perché, prima di passare sotto la felice servitù, essi si trovavano incatenati in una servitù funesta? In effetti è in ragione della loro incredulità che gli uomini erano prigionieri del nemico, “che agisce sui figli ribelli, nel numero dei quali una volta eravate anche voi, quando vivevate tra essi” (Efes. II, 2-3). È dunque per i doni della sua grazia che il Cristo, che ha ricevuto i doni nella persona degli uomini, ha reso prigioniera questa funesta cattività. In effetti, questi uomini non credevano che un giorno avrebbero abitato la casa di Dio. Ma la fede li ha infine liberati, affinché essi abitassero la casa di Dio, e diventassero essi stessi questa casa e il carro di Dio, formato da migliaia di Santi che si rallegrano (S. Agost.). 19, 20. È allora che il cantore di queste parole profetiche, al quale lo Spirito Santo concedeva di contemplare in anticipo queste grandi cose, egli stesso pieno di gioia, intona un inno di gioia e grida: “Benedetto sia il Signore-Dio”. La terra deve unirsi al cielo per ridire con la moltitudine degli eletti: “La salvezza viene dal nostro Dio, seduto sul trono, e dall’Agnello … Benedizione, gloria, saggezza, azioni di grazie, onore, potenza e forza dal nostro Dio, nei secoli dei secoli”. (Apoc. VII, 10, 12.). – E poiché il Cristo conduce fino alla fine il carro di cui ha parlato, il Profeta continua e dice: “ Un cammino prospero ci sarà preparato dal Dio della nostra salvezza”. Queste parole ci insegnano la necessità della grazia. Chi sarà salvato in effetti, se Dio non lo salva? Ma per paura che questo pensiero non si presentasse al nostro spirito: “perché dunque noi moriamo se la grazia ci ha salvato?” … egli aggiunge: “Appartiene al Signore liberare dalla morte”, lo stesso vostro Signore, non ha avuto altra uscita dalla sua vita, se non la morte. Soffriamo dunque con pazienza la morte stessa, sull’esempio di Colui che ha voluto uscire dalla vita per mezzo della morte, benché alcun peccato Lo avesse reso tributario della morte, e che fu il Signore, al Quale nessuno poteva togliere la vita ed al Quale apparteneva il deporla da se stesso (S. Agost.). 21-23. “Ma comunque Dio schiaccerà la testa dei suoi nemici, e la fronte superba di coloro che camminano nei loro peccati”; vale a dire di coloro che si elevano in maniera disordinata, e che si inorgogliscono fieramente nei loro peccati, mentre essi dovrebbero attingere sentimenti di umiltà. Egli schiaccerà la loro testa, “perché colui che si esalta, sarà abbassato”. Egli schiaccerà la testa dei suoi nemici e non soltanto di coloro che Lo hanno deriso sulla croce, ma anche di tutti quelli che si ergono contro la sua dottrina e che volgono la sua morte in derisione, come se non fosse che la morte di un uomo (S. Agost.). – Così come Dio è buono nei riguardi dei peccatori umili che riconoscono le loro debolezze, così è terribile nei riguardi dei peccatori orgogliosi che sono nemici dichiarati e vogliono insolentemente perseverare nei loro peccati. Egli talvolta li schiaccia in questa vita, ma sempre nell’altra, dove non ci sarà da sperare più salvezza per coloro il cui orgoglio non sarà stato abbassato in questa vita. – Nessun nemico, per potente che sia, tra le mani di Dio ritira le sue quando a lui piace, con la stessa facilità con la quale Egli ha liberato il suo popolo dalle mani di re potentissimi; nessun abisso di peccato, quantunque profondo, da cui la bontà onnipotente di Dio non si ritira quando vuole (Dug.).

 IV. — 24-35

25-27. “Si è visto il vostro passo, o mio Dio”! Si è visto il vostro passo attraverso il mondo, che voi dovete percorrere interamente su questo carro, chiamato ugualmente nel Vangelo col nome di nube e che significa i Santi ed i fedeli. … Tali sono i passi che da Voi si sono visti; vale a dire, tali sono i passi che ci sono stati manifestati, quanto la grazia del Nuovo Testamento ci è stata rivelata. Ecco perché è scritto: “Quanto son belli i piedi di coloro che annunziano la pace, che annunciano la buona novella” (Rom. X, 15). In effetti, questa grazia e questi passi erano nascosti nell’Antico Testamento; ma quando è venuta la pienezza dei tempi, e quando è piaciuto a Dio rivelare suo Figlio, perché fosse annunciato tra le nazioni” (Gal. IV, 4), si sono visti i vostri piedi, o mio Dio!, i passi del mio Dio, del Re che abita nel luogo santo”. In qual luogo santo, se non nel suo tempio? In effetti il tempio di Dio è santo, e Voi siete questo tempio” (II Cor. III, 17), (S. Agost.). – Ora, perché questi passi fossero visti, “i principi hanno marciato per primi con coloro che cantavano sul salterio, in mezzo alle fanciulle che battevano sui tamburi”. I Principi sono gli Apostoli; essi hanno in effetti, marciato per primi, affinché i popoli li seguissero; essi hanno marciato per primi annunciando il Nuovo Testamento, “con quelli che cantavano sul salterio”, cioè con coloro le cui buone opere, visibili agli altri uomini, glorificassero Dio, come strumenti destinati a lodarLo. Questi stessi principi erano “in mezzo alle fanciulle che battevano sui tamburi”, vale a dire che essi erano onorati dal ministero stesso che essi espletavano; perché tale è il rango dei ministri sacri in mezzo alle nuove chiese che essi governano. In effetti, nel timore che non venga allo spirito di qualcuno l’interpretare queste figure in senso carnale, il Profeta continua e dice: “ benedite il Signore nelle Chiese”; come se dicesse: guardatevi, sentendo parlare di fanciulle che battono sui tamburi, dal pensare a divertimenti lascivi. “Benedite il Signore nelle Chiese”. Le Chiese sono figurate con denominazione mistica; le Chiese sono le fanciulle che battono sui tamburi, cioè a chi la vittoria riportata sulla carne ha dato un’autorità spirituale. “Benedite dunque nelle Chiese il Signore, Iddio, voi che siete usciti dalle sorgenti di Israele. È in Israele, in effetti, che Egli ha scelto coloro che Egli voleva fossero delle sorgenti; è la che Egli ha scelto gli Apostoli, i primi che hanno ascoltato queste parole. “Chiunque berrà l’acqua che Io gli darò, non avrà mai sete, ma uscirà da lui una sorgente d’acqua che zampillerà fino alla vita eterna” (Giov. IV, 13, 14); (S. Agost.). – I piccoli ed i grandi, I princìpi ed I popoli si trovano in queste Chiese come nella casa comune, per rendere I loro doveri a Dio.

28-30. Questa espressione. “Signore, dispiegate la vostra forza”, è nello stile dei profeti, che rappresentano Dio come intimante i suoi ordini agli strumenti della sua bontà o delle sue vendette. Dio comanda alla sua forza, quando la impiega, quando ne fa sentire gli effetti. Io potrei dire, nell’orazione: “Signore comandate alle vostre luci di illuminarmi; comandate al vostro amore di abbracciarmi; comandate alla vostra misericordia di perdonare i miei peccati; comandate alla vostra saggezza di mostrarmi le vostre vie”. Nel Salmo XLIII, il Profeta dice che Dio comanda la salvezza di Giacobbe; vale a dire che Egli prende i mezzi efficaci per salvare il suo popolo. O Signore, ripeto, con il sentimento di un cuore toccato dal desiderio di compiacervi: comandate la mia salvezza; comandate ai nemici che vi si oppongono, lasciate la mia anima gioire della pace che si gusta nel vostro seno; comandate alle mie passioni di tacere alla vostra presenza. Comandate al mio cuore di attaccarsi invincibilmente a voi (Berthier). – In qualunque grado di virtù e di santità l’uomo sia stabilito, deve chiedere a Dio di stabilizzarlo e completare in lui ciò che ha iniziato. Sovrano ambito di Gesù Cristo, al Quale tutti i re della terra sono venuti a rendere adorazione ed i loro omaggi, consacrando a Lui i loro Stati ed ancor più il loro cuore. Quale dono più gradito a Dio, se non il sacrificio di lode? Ma vi sono degli uomini che, benché portino il nome di cristiani, hanno sentimenti contrari, e mischiano a queste lodi queste arie discordanti. Che Dio faccia dunque ciò che dice il Profeta. “Reprimere le bestie feroci della canna”. Queste sono delle vere bestie feroci, perché sono pericolose per la loro mancanza di intelligenza, e sono le bestie feroci delle canne perché essi corrompono, con i loro errori, il senso delle scritture. – È ancora per gli stessi uomini che il Profeta aggiunge: “ Essi sono come una moltitudine di tori in mezzo alle vacche dei popoli”, affinché coloro che sono stati provati come l’argento siano respinti. Dando loro il nome di tori, a causa della loro testa dura ed indomita, il profeta designa gli eretici, mentre le vacche dei popoli sono le anime facilmente seducibili. “Al loro numero appartengono certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni di ogni genere, che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità” (II Tim. III, 6-7). – Lo stesso Apostolo dice ancora: “Bisogna che si abbiano delle eresie per manifestare coloro che tra voi sono riprovati” . “È necessario infatti che ci siano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi (I Cor. XI, 19), cosa che si riconduce a ciò che aggiunge il profeta: “Affinché tutti quelli che sono provati come l’argento siano riprovati”; cioè manifestati, evidenziati (S. Agost.). – “Respingete le bestie feroci, sempre pronte a slanciarsi dalle loro canne”. Questo spettacolo non presenta forse in questo momento il mondo, nel quale una banda di tori furiosi ha davanti a sé solo timide vacche? È vero, i popoli stessi sono rammolliti, “stravaccati”, anche se il mondo contiene ancora delle intelligenze ferme, dei coraggi robusti; grandi energie sussistono in seno alle società. Ma queste nature forti ed oneste che sono a prova di argento, vengono escluse, respinte; riducendosi gli uomini degni di questo nome, si crede di aver guadagnato tutto, e tanti popoli si personificano in volontà fiacche, in spiriti fluttuanti, in anime che non hanno nulla di virile: sono queste le truppe di vacche che abbiamo visto più di una volta in fuga, quando i tori hanno fatto irruzione (Mgr. Pie, I, 456, Homél, Pentec.). 31-35. I reami o i re della terra hanno bisogno che si ricordi loro l’obbligo che hanno di cantare le lodi di Dio. Essi sono talmente inebriati dalla loro grandezza e dallo sfarzo che li circonda, che dimenticano facilmente ciò che essi devono a Dio, per non ricordarsi se non di quello che essi credono che gli uomini debbano loro. – La voce di Dio è così forte e potente, che nulla è capace di resisterGli, e che i suoi nemici più dichiarati saranno infine obbligati a renderGli gloria. – I Santi sono la più grande meraviglia di Dio. Il mondo non è che un’ombra della sua grandezza, ma i Santi ne sono un’immagine viva, essi rappresentano in qualche modo, la virtù e la forza invincibile di Dio, perché è per esse che sono divenuti Santi, malgrado tutti gli attacchi del demonio, del mondo, della carne (Dug.). – “Al suo popolo che è ora fragile e debole, Dio donerà la forza e la potenza”. In effetti quaggiù, noi portiamo i nostri tesori in vasi fragili (II Cor. IV, 8); ma allora, per i gloriosi cambiamenti che avranno luogo anche nei corpi, “egli darà la forza e la potenza al suo popolo”; il Cristo gli darà la forza che per primo ha deposto nella sua carne, e che l’Apostolo chiama la forza di resurrezione (Filip., III, 10); questa forza per la quale la morte sarà distrutta. “Benedetto sia il nostro Dio”! (S. Agost.).