Omelia della Domenica di Pasqua
[del Canonico G.B. Musso, 1851]
-Risurrezione Vera e Costante-
Quanto grande dovett’essere la sorpresa delle sante donne, che si condussero a visitare il sepolcro di Gesù Cristo! Credevano trovarlo chiuso , e lo trovarono aperto, credevano trovarvi il suo corpo, e vi trovarono un angelo. Ma quanto più grande fu la loro allegria in sentire dall’angelo stesso: voi cercate Gesù Nazzareno poc’anzi crocifisso Lo cercate invano. È questo il luogo ove venne riposto, Egli è risorto, non è più qui. “Surrexit, non est hic”. Per sì glorioso risorgimento la Chiesa è tutta in giubilo, in mille guise festose esprime la sua letizia, e vuole che sia comune a tutti i suoi figli un giorno sì lieto. “Haec dies, quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea.” Esulta la nostra madre perché risorse da’ morte il divino suo Sposo. Esulta per la speranza, che siano risorti dal peccato i figli suoi. Sarà piena la sua allegrezza, se la nostra resurrezione sarà conforme a quella del Redentore. Quella fu vera e costante. E la nostra, uditori miei, la nostra qual è? Ha queste due qualità, di vera e costante? Vediamolo a nostra consolazione, o nostra riforma colla maggiore brevità.
- I. “Surrexit Dominus vere” (Luc. XXIV, 34). Fu vera la resurrezione di Gesù Cristo, e i soldati custodi del suo sepolcro ne diedero, anche non volendo, chiara testimonianza con l’infelice astuzia d’asserire che dal sepolcro fu tolto il suo corpo, mentre dormivano, come riflette S. Agostino. Fu vera, e pel corso di giorni quaranta si fe’ vedere alla Maddalena, a Pietro, a Giacomo, a Giovanni, agli Apostoli, ai discepoli in Galilea, al castello di Emmaus, al mare di Tiberiade. Fu vera, e prima di ascendere al cielo si mostrò a cinquecento discepoli. E a togliere ogni dubbio su la verità del suo corpo risorto, comparso a porte chiuse in mezzo agli Apostoli nel cenacolo congregati, la pace sia con voi, dice loro, non vi turbate, Io son quel desso che fui tra voi. Accertatevene, miei cari, ecco queste son le mie mani, questi i miei piedi, questo il mio fianco. “Videte manas meas, et pedes meos, quia ego ipse sum” (Luc. XXIV, 39). Se la mia comparsa può parervi un fantasma, appressatevi, e toccata il vero ravvivato mio corpo. Uno spirito non è né carne, né ossa onde si renda palpabile. Fu vera, e rivolse l’incredulità di Tommaso a confermare la fede del suo risorgimento, e, viene, gli dice, e metti il tuo dito nell’apertura delle mie mani, de’ miei piedi traforati dai chiodi, e poni la mano in quella ferita, che nel mio petto ha lasciato la lancia. Fu vera, finalmente, e gli Apostoli in Gerosolima, nella Giudea, nella Samaria, in tutte le parti dell’universo l’annunziano con fermezza, la predicano con lo zelo più ardente, la confermano co’ più stupendi miracoli, la sigillano col proprio sangue; e la verità comprovata di Gesù Nazzareno risuscitato confonde la pagana filosofia, atterra gli idoli, discaccia i demoni, e su le rovine del gentil esimo fa piantare la croce, e adorare il Crocifisso.
Non si pretende che il risorgimento di un peccatore abbia tutti questi luminosi caratteri di verità; ma è indispensabile una sostanziale somiglianza e conformità tra la Risurrezione del Salvatore, e la nostra. Voi nella presente solennità vi siete accostati al tribunale di penitenza, ed alla sacra mensa colla sacramentale Comunione, avete fatto la Pasqua. Siete con questo veramente risorti dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita? Veniamo ad un troppo necessario confronto. Gesù Cristo, fra le altre prove del suo vero risorgimento, mostra e mani e piedi e costato. Lasciate che io veda le vostre mani, per giudicare se siete veramente risorti. Ritengono queste ingiustamente la roba altrui? Continuano a fare scarse misure, a spogliare i poveri, a falsificare scritture, a scrivere lettere infamanti, a mandar biglietti amorosi, canzoni oscene, ad impiegarsi in azioni indegne? Voi non siete risorti, siete ancor morti! Osserviamo i piedi. Son questi sempre rivolti alle cose sospette, al ridotto, al giuoco, alle pericolose conversazioni? Voi non siete risorti, siete ancor morti! Vediamo il cuore. Se questo è gonfio dalla superbia, infetto dalla lussuria, avvelenato dall’odio, posseduto dall’avarizia, voi non siete risorti, siete ancor morti! Non fu resurrezione la vostra, fu una larva, un’ombra, un’apparenza, che agli occhi del mondo vi fe’ comparire risorti alla luce di grazia, ma in realtà non va ha cavati dalle tenebre ed ombre di morte. A che giova la Confessione, se non intacca il vostro cuore dal peccato? A che giova la pasquale Comunione per un’anima impenitente? La pelle della pecora nasconde, ma non fa cangiare il lupo. La vera conversione cangia il lupo in agnello, come avvenne a S. Paolo. Tu sarai convertito davvero, disse S. Remigio a Clodoveo re di Francia, se tu farai tutto l’opposto di quel che già facesti. Adorasti gli idoli, ora devi incenerirli, abbruciasti la croce, ora devi adorarla! ”Adora quod incendisti, incendi quod adorasti.”
La vera conversione di un’anima traviata è abbandonare del tutto la strada dell’iniquità e della perdizione, e d’incamminarvi in quella della penitenza e della salute. Consiste la risurrezione vera in un totale cangiamento di vita, di volontà, di pensieri, di affetti, di azioni, di costumi. Lo Spirito del Signore opera questa gran mutazione in quell’anima che apre gli occhi a’ suoi lumi, che porge orecchio alle sue voci, che ascolta gli impulsi della sua grazia. “Insiliet in te Spiritus Domini … et mutaberis in virum alium” (I Re, X, 6). Senza di questa mutazione, per cui si deponga l’uomo vecchio con tutte le sue viziose abitudini, e si rivesta il nuovo con ricopiare in sé Gesù Cristo per l’imitazione dei suoi esempi, sarà la nostra risurrezione un inganno, una illusione, un fantasma.
II. Io voglio credere però che la risurrezione vostra sia vera, che siate passati da morte a vita, e lasciato il vecchio fermento, gustiate degli azzimi della sincerità e della purezza. Ma per essere somigliante a quella de Gesù Cristo fa d’uopo che sia costante. Egli è risorto da morte, dice l’Apostolo, ed alla morte non è più soggetto. “Christus resurgens ex mortuis iam non moritur, mors illi ultra non dominabitur” (Rom. VI, 9). Ecco il modello del vostro risorgimento. Cristo è risorto per non morire mai più; voi, risorti con Cristo, non dovete più spiritualmente morire.
Fu vera, fu stupenda la risurrezione di Lazzaro quatriduano già fetido, ma non fu permanente. Vivo uscì dal sepolcro, ma dopo alcuni anni tornò morto nel sepolcro. Ah! Miei direttissimi, non avvenga a voi per mutazione di volontà, ciò che a lui avvenne per necessità di natura. Mantenete la grazia ricevuta, conservate la vita riacquistata. M’interrogate de’ mezzi da adoperarsi per rendere costante il vostro risorgimento? Seguite ad ascoltarmi, ed osservate la facil maniera per riuscirvi. Fate per l’anima quel che fate pel corpo. Col cibo si mantiene la vita del corpo, col cibo si mantiene la vita dell’anima. Cibo dell’anima è la parola di Dio o udita, o letta, o meditata. Lo dice in termini espressi il nostro divin Salvatore, “Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo quod procedit de ore Dei” (S. Matt. IV, 4). L’uomo non vive solament e di pane, o di qualunque altro cibo che viene sotto di questo nome, ma del cibo vivifico di quella parola, che esce dalla bocca di Dio. La parola di Dio ha creato il mondo, la parola di Dio ha convertito il mondo, la parola di Dio mantiene nella fede e nella grazia il cattolico mondo. Chi non si pasce di questo cibo, non può conservare la vita dell’anima. “Iustus ex fide vivit” (Rom. I, 17). Il giusto vive di fede, e la fede è per fondamento la divina parola. Cibo dell’anima è altresì la santa Comunione Eucaristica, ricevuta con mondezza di cuore, con frequenza discreta. Cibo dell’anima è l’orazione mentale, è la preghiera, colla quale si ottiene il pane cotidiano della divina grazia.
Per mantenere la vita del corpo, si ripara dall’inclemenza delle stagioni, dal freddo, dal caldo eccessivo, dalla furia dei venti, dalle arie infette. L’aria infetta per l’anima è quella che si respira nei teatri, ne’ festini, nelle bettole, nelle conversazioni licenziose. Venti furiosi sono le tentazioni, che assaltano per la via dei sensi non custoditi. Freddo, l’accidia, la vita oziosa, l’omissione dei propri doveri. Caldo eccessivo, il fuoco dell’ira, il fuoco della libidine. Tutto ciò conviene riparare, se come la salute del corpo vi preme quella dell’anima.
Se il corpo cade infermo, quanto si fa per risanarlo? Medici, medicine, consulti, tutto si adopera, nulla si omette per ristabilirlo, l’anima anch’essa è soggetta ad infermità. La sua medicina è il Sacramento della Penitenza. A questa probatica fa d’uopo accostarsi frequentemente, acciò le vostre piaghe non si convertano in cancrene, acciò le spirituali malattie non rechino la morte.
Ditemi in grazia, uditori umanissimi, vi si domanda troppo, se vi si chiede che abbiate un’ugual cura a mantenere la vita dell’anima come l’avete a conservare la vita del corpo? In un secolo così delicato siamo ridotti a discendere a patti sì dolci, a condizioni così limitate. Ma si adempiano almeno con quell’impegno che vi assicuri d’una resurrezione vera, d’una risurrezione costante e permanente come fu quella di Gesù Cristo, glorioso ed eterno trionfatore della morte, del peccato, e dell’inferno.